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lunedì 30 agosto 2010

La Fonte di ogni felicità

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A maggio avevo scritto un post sul sapersi accontentare (qui). Avevo parlato saggiamente, ma ahimè, durante l'estate non mi sono comportato in accordo a quelle parole e l'ho fatto, ripetutamente, proprio di fronte all'ultima persona al mondo con cui avrei voluto commettere tale errore. Evidentemente quel post era frutto di una comprensione razionale, ma non profondamente interiorizzata.
Mi è arrivata allora una di quelle lezioni che si incidono nella coscienza come acido nella carne: a fondo. E ho imparato. Non mi lamenterò mai più di non potere stare abbastanza con una persona o avere poco di qualcosa che mi rende felice. Perché ora so che può arrivare il giorno in cui rimpiangerò quel "poco" che ora sarebbe tanto, e mi pentirò di non esserne stato grato come avrei dovuto. Perché non ci si accontenta? Perché proprio quando qualcuno o qualcosa ci rende felici, tendiamo a scivolare, spesso senza avvedercene, nell'errore di credere che la nostra felicità dipenda dalla presenza di quel qualcuno o qualcosa; dimenticando che l'unica vera felicità, forte e stabile, è quella data dal percepire la presenza attorno a noi della Divinità e tornare a compenetrarci in Essa. C'è di bello inoltre che era da almeno cinque anni che non mi sentivo in cambiamento come mi sta succedendo ora, e a una tale velocità. E soprattutto che sento riaprirsi in me una finestrella che si affaccia su Dio. Perché se è vero che ho scritto un libro proprio attorno a una frase che recita "nessuno ha il potere di renderci felici o infelici: siamo noi stessi i soli responsabili della nostra felicità", mi avvedo ora che la nostra responsabilità sta in primis nel discernere l'unica e autentica Fonte di ogni felicità possibile. Concludo con una parabola Sufi di Shaikh Muhammad Nazim al-Haqqani, molto in tema. Una volta c’era un cavaliere. Mentre camminava trai suoi giardini, in compagnia del suo servitore vide un cocomero cresciuto nella sua vigna. Lo tagliò e ne assaggiò un pezzetto: trovando il primo pezzo amaro, lo sputò e lasciò il resto al suo servitore che ne disponesse come voleva. Ma invece di gettarlo via, lo mangiò tutto. Il cavaliere, stupito disse: “Come hai potuto mangiarlo, non era amaro?” Ora dalla risposta del servitore avrebbe ricavato una buona lezione: “Oh maestro mio, così tante volte ho mangiato le cose buone elargite dalle vostre mani generose, se una volta mi avete dato qualcosa d’amaro mi sono vergognato di buttarla via. Perciò l’ho mangiata.” Le parole di quel servitore contengono una lezione che può esser sufficiente per tutto il corso delle nostre vite, e servire come base per stabilire una relazione adeguata tra noi e il nostro Signore.

Ogni felicità nasce in Dio

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Via dalla mente le nuvole, viene in te riflesso il Sole.

sabato 28 agosto 2010

Un piccolo segno

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"Il Sé non può essere conosciuto attraverso lo studio delle Scritture, né attraverso l'intelletto più raffinato, né da colui che è erudito, ma può essere conosciuto da colui che lo desidera intensamente." (Katha Upanishad) Stamattina, mi accingevo a entrare nel palazzo in cui abita mia madre. Il cielo era nuvoloso e plumbeo. Prima di arrivare al portone condominiale, senza alcuna ragione mi sono fermato e girato verso la strada, per guardare un albero!?
Mentre mi domandavo perché diavolo me ne stessi impietrito a fissarlo così, all'improvviso l'albero ha risposto: si è letteralmente acceso e di nuovo spento poco dopo. E dico acceso sul serio, senza esagerare. Per qualche secondo si era aperto uno squarcio tra le nubi e tutti e solo i suoi rami, prima in ombra, erano stati illuminati con precisione chirurgica dai raggi solari. Il passaggio dall'ombra alla luce è stato talmente repentino, il contrasto con tutto il resto che restava scuro così netto, da far apparire iridescente la chioma di foglie.
Più tardi ho scattato questa foto col telefonino, l'albero in questione è il pruno selvatico al centro. Purtroppo lo scatto non rende neppure lontanamente l'idea di ciò che ho osservato e provato.
Il punto è che stamattina mi ero alzato con nuovi pensieri positivi in mente, in risposta a quelli di disappunto in cui avevo annaspato negli ultimi giorni. Ecco perché credo che Dio (o il mio Sé superiore) abbia voluto darmi un piccolo ma chiaro segno di conferma e incoraggiamento.

Ultimo bollettino di emergenza - ritorno alla normalità

2 : commenti
Prima linea a Comando
Stiamo ristabilendo contatto radio, normali trasmissioni prossime alla ripresa, stop. Confermiamo inesistenza fronte contrapposto, non c'è nessun nemico e nulla osta all'operazione di allineamento, mai interrotta nonostante apparisse tutt'altro, stop. A questo punto riteniamo non esserci distinzione neppure tra noi e voi: stiamo praticamente comunicando a voce alta con noi stessi, stop. Procediamo nuovamente a pacificare questo territorio, con il Vostro benestare... in altre parole con l'aiuto di Dio.

venerdì 27 agosto 2010

Bollettino n. 2

0 : commenti
Prima linea a Comando. Ripiegamento concluso. Situazione stabile, no ulteriori perdite, stop. Contatto visivo oltre prima linea difficile. Fine aggiornamento, stop. Segue informazione massima riservatezza. Sospettiamo nemico che ha bloccato operazione di allineamento essere noi stessi. Indagine in corso stop.

(bollettino successivo)

mercoledì 25 agosto 2010

Eutanasia in caduta libera

3 : commenti
Boschi, dirupi. Avrei solo voluto prati e colline.

Bollettino di ritirata

2 : commenti
Prima linea a Comando. Allineamento fallito, danni collaterali ingenti, stop. Impossibile mantenere posizione, stop. Stiamo ripiegando nelle vecchie trincee. Che Dio ci aiuti.

(bollettino successivo)

sabato 21 agosto 2010

Trasformazioni

7 : commenti
Lavori in corso: l'autore di questo blog è in fase di divenire e ringrazia con tutto il cuore chi sta collaborando a farne allineare l'io con l'anima. Pure se non è facile!

venerdì 20 agosto 2010

Formula magica

0 : commenti
Arnica, lavanda, iperico, calendula, echinacea : son cinque in un coccio che ho interrato nell'orto.

mercoledì 18 agosto 2010

Io siamo

0 : commenti
noi sei tu sono io siamo due anime confuse
Monica Apreda "Anime fuse" olio su tela

martedì 17 agosto 2010

Eros e poesia

0 : commenti
Il placet
erano e persistono scie nei tuoi passi, impronte d'arcobaleno al parquet del soggiorno. Odore... il tuo desiderarmi fissato arrotolato tra le dita. Certificati-coinvolgimento i bouquet degli orgasmi. Le gambe cumludenti portano in trionfo il placet della vagina
Sono così attento ai contenuti che inserisco su Ventidue passi d'amore e dintorni, da poterlo definire un blog anche "per famiglie". Ci capita pure mia figlia che ha 12 anni. Spero pertanto che nessuno arricci il naso per questa poesia erotica, al mio sentire tutto men che volgare. Un omaggio al mistero della Natura che abita in ogni donna, pure un po' troppo erudito per me che reputo una poesia buona quanto più è semplice e immediatamente comprensibile. Perciò mi scuso con chi non avesse studiato latino, che forse non avrà colto al volo il motivo per cui, invece del verbo colludere, ne ho usato la radice etimologica cum-ludere, cioè giocare insieme. Quanto a placet - permesso, approvazione - è un vocabolo abbondantemente sdoganato dal linguaggio giuridico e utilizzato da giornalisti, politici ecc. L'elegia erotica era un genere letterario molto apprezzato dagli antichi Greci e Romani. È un grande dramma dell'occidente cristianizzato l'avere anteposto successivamente, anche nell'arte, l'apollineo al dionisiaco.

lunedì 16 agosto 2010

Buttare addosso agli altri la propria sofferenza

6 : commenti
Tu non puoi sovraccaricarmi di tutto quello che senti, aspettandoti determinate risposte o reazioni, e se queste non arrivano, buttarmi addosso la tua sofferenza! È da ieri mattina che rifletto su questa e su altre frasi. Credo nessuno mi avesse mai riflesso addosso, con tanta chiarezza e lucidità, un mio meccanismo antico, credo ereditato pari pari da mia madre sin da quando ero bambino, di cui ero pochissimo consapevole finora, nonostante ne osservassi tracce e segni, gli effetti nella mia vita. Purtroppo si fa fatica a mettere a fuoco, ciò che è vicinissimo a noi, quasi cucito alla nostra pelle. È proprio vero: sono pressoché programmato a riversare sugli altri con pochissimi filtri tutte le mie emozioni, in particolare quelle legate alle aspettative proiettate su di loro, fatto spesso molto piacevole se si tratta di esprimere gioia e soddisfazione, viceversa sgradevole se si tratta di disagio e sofferenza: un'altalena di leggerezza e pesantezza! Ora sono consapevole - meglio tardi che mai! - di questa mia tendenza, e dato che che non mi piace per niente, ho già iniziato a rimboccarmi le maniche per farla fuori dai miei pensieri, dai miei atteggiamenti e dai miei comportamenti. Per lo meno voglio riuscire a diventare consapevole del suo manifestarsi e controllarne gli eccessi. Mi sento allo stesso tempo deluso e contento di avere, a 45 anni, ancora così tanto da imparare su me stesso. E sono pieno di riconoscenza per la persona, molto più giovane di me, che ha saputo darmi questa dritta: cercherò di farmi perdonare quello che le è costato, dimostrando che, sì, voglio e posso vincere questa mia "coazione a ripetere".

sabato 14 agosto 2010

Vincere insieme o perdere insieme

0 : commenti
Per troppo cuore ci mettiamo spesso con le nostre stesse mani in posizione di scacco matto, e allora qualunque cosa si dica o faccia peggioriamo la nostra posizione. L'unica soluzione è uscire da questa metafora, portare pazienza e ricordare che la vita non è una partita a scacchi! Eh già, la dinamica dei rapporti è assai più complessa della banale contrapposizione vincitori-vinti: in realtà, al di là del velo delle apparenza, l'alternativa è sempre e solo tra vincere insieme o perdere insieme. P.S. purtroppo predico bene e razzolo male.

Wind di Keith Jarrett

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Al vento che mi gonfia il cuore

Hai un amico in me

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Delizioso come da copione l'ultimo cartoon digitale prodotto da Disney-Pixar, Toy Story 3, che mia figlia e io ci siamo goduti ieri al cinema. È il primo film in 3D che non ci ha fatto venire mal di testa, credo merito degli occhialini monouso sigillati e dunque con lenti immacolate nonché della proiezione perfetta che non tutte le sale in verità garantiscono. Per correttezza non faccio nomi, però tra Perugia e Corciano ci sono due multisale che offrono il cinema 3D e solo una di queste vale il prezzo del biglietto. Perciò Perugini, occhio! In realtà ho iniziato questo post con l'idea di condividere il cortometraggio che per consuetudine precede i film della Disney, Quando il giorno incontra la notte, che ieri sera avevo ritrovato e visto su YouTube, davvero imperdibile. Ahimé, già stamattina il link era stato oscurato con tale avviso Questo video non è più disponibile a causa di un reclamo di violazione del copyright da parte di Disney. Mah, queste cose le capisco solo fino a un certo punto, penso che i diritti degli autori siano più che ripagati da proiezioni cinematografiche, DVD, merchandising ecc. e che la vera democrazia debba sapere contemplare e incorporare in sé un po' di pacifica anarchia, in caso contrario tende a trasformarsi in sistema totalitario. Allora per non lasciarvi a bocca asciutta, vi ripropongo la sempre piacevolissima canzone portante della saga di Toy Story, cantata in Italia da Riccardo Cocciante... di quelle da cantare all'infinito sotto la doccia e oltre! ;-)
Hai un amico in me un grande amico in me se la strada non è dritta e ci sono duemila pericoli ti basti solo ricordare che che c'è un grande amico in me di più di un amico in me. Hai un amico in me più di un amico in me i tuoi problemi sono anche i miei e non c'è nulla che io non farei per te se siamo uniti scoprirai che c'è un vero amico in me più di un amico in me. E anche se in giro c'è qualcun altro che vale più di me certo sicuro mai nessuno ti vorrà mai bene quanto me sai con gli anni capirai che siamo fratelli ormai perché il destino ha deciso che c'è un vero amico in me più di un amico in me un vero amico in me.

venerdì 13 agosto 2010

Dipinti da Dio

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Cercavo di capirti... e sempre più a colpo d'occhio cogliere il disegno: il tutto di te, non singoli tratti. Ti chiedevo di lasciarti scoprire. Particolare su particolare. Ombre. Chiaroscuri. Toni. Colori. E strato dopo strato mi svelavi l'affresco - tu! - che avevano sfregiato. Ci vedevo l'anima luccicarti. Tu sorridevi mentre sul mio muro con le tue mani mi ridavi luce. Dipinti entrambi a riportarci a vita.

giovedì 12 agosto 2010

Haiku della passione

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L'accolgo in casa mi ci scompiglio gli occhi. È come il vento.

Haiku della pienezza

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Perché ti amo? Davvero non c'è un perché: c'è un mondo pieno.

Pieni e vuoti

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Oggi mi sento consapevole più del solito di quanto la vita sia un continuo e dinamico equilibrio tra felicità e dolore. Chi ritenesse di essersi costruito un porto franco, privo di alti e bassi ma tutto sommato rassicurante, è soltanto distratto: attorno a noi c'è sempre qualcosa di cui essere allegri, così come a scavarci dentro spunta sempre qualche seme d'insoddisfazione. Naturalmente preferisco vivere intensi scampoli di paradiso, rischiando il contrappasso di un inferno, che un anonimo limbo. Comunque non capirò mai perché siamo portati per natura a dare istintivamente più peso a ciò che non funziona piuttosto che funziona, ci rattrista piuttosto che riempie di gioia, ci fa precipitare piuttosto che volare, insomma al bicchiere mezzo vuoto invece che a quello mezzo pieno! P.S. Eppure dopo avere scritto tutto questo, mi sento pieno e felice, col cuore aperto.

Incipit

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Oggi mi è tornato in mente questo incipit. Non ho motivi particolari per pubblicarlo, ma risponde a una richiesta della mia anima e mi andava di condividerlo. Stanotte ho saputo che c'eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d'un tratto, in quel buio, s'è acceso un lampo di certezza: sì, c'eri. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Cerca di capire: non è paura degli altri. Io non mi curo degli altri. Non è paura di Dio. Io non credo in Dio. Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. È paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre. Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato.
[Da Lettera a un bambino mai nato
Oriana Fallaci (1929-2006), Rizzoli]

lunedì 9 agosto 2010

Nuovi passi...

2 : commenti
Ho deciso di scrivere una favola. Di quelle un po' alla piccolo principe.
I protagonisti sono due: lei una strega-fata del bosco cresciuta in città o qualcosa di simile, lui ancora non so... qualcuno comunque che aveva perso la memoria e comincia lentamente a ricordare dopo aver conosciuto lei. Sarà una bella storia d'amore, ma non solo. Se non suonasse troppo pretenzioso direi che riguarderà il senso della vita. Ancora non ho definito una trama (ci penso solo da ieri sera!); per ora mi piacerebbe che l'arco temporale della narrazione durasse un anno esatto e a grandi linee fosse suddiviso così: 1) l'incontro dei protagonisti e l'innamoramento; 2) una partenza, l'attesa e le prove da superare per potersi rivedere; 3) il vissero felici e contenti... Va be', è ancora tutto molto acerbo, ma parlarne mi serve proprio a far girare la ruota dell'immaginazione!

venerdì 6 agosto 2010

Più è importante, più devi impegnarti

0 : commenti
Per una pietra preziosa hai da scavar nel sottosuolo. Un desiderio si può avverare proporzionalmente all'intensità dell'intenzione che poniamo in esso. E le difficoltà nell'avverarlo son grandi quant'è grande il valore che diamo a quello che desideriamo.

mercoledì 4 agosto 2010

Scritto per te

3 : commenti
Qualche compleanno fa un caro amico mi regalò un suo racconto breve, ispirato alla mia prima raccolta sui generis di poesie. Apprezzai il pensiero e il risultato, e lo ringraziai molto, ma fui anche imbarazzato di questo dono perché mi sembrava esagerato dare tutto questo rilievo al mio libro.

Così quel file è rimasto per qualche anno sul desktop del mio iMac (ho un desktop zeppo di file e molto molto disordinato!)... stamattina mi ci è caduto sopra l'occhio, l'ho riletto... e mi è sembrato sciocco tenermelo per me.


Scritto per te

Questo incontro,
che la mia anima incanta,
apre ricordi di notti antiche
intona un canto dimenticato...


Renata stava leggendo. Renata era arrabbiata. A dire il vero non era mai stata così arrabbiata in vita sua, aveva fatto tutto quel viaggio per fare una sorpresa a Carlo, il suo ragazzo, il suo ex-ragazzo, e ora sta tornando indietro in treno. Non avrebbe dovuto trovarsi lì quel giorno, avrebbe dovuto avere i primi esami dell’università. Poi il Prof., uno che era quello che era perché vent’anni prima aveva scritto qualcosa di cui nessuno si ricordava più ma tutti dicevano fosse importantissima, si era beccato gli orecchioni, a sessant’anni suonati, da un nipotino. Molti studenti avevano sogghignato, pensando che gli orecchioni fossero la malattia ideale per un pallone gonfiato, e ringraziato il cielo che le loro gentili preghiere fossero state accolte. Gli esami erano stati rinviati. Così aveva deciso di fargli una sorpresa e di venire a trovare lui che era il più bel ragazzo sulla terra, senza dirgli nulla prima, il giorno del suo compleanno. Lo aveva trovato che stava festeggiando con la sua ex migliore amica. E pensare che si erano conosciuti grazie a lei! Spumante di rabbia e dolore era tornata in stazione e si era ficcata nel primo treno che la riportasse indietro. Per puro caso aveva trovato un posto a sedere nella prima carrozza e quando il tizio che le stava di fronte si era svegliato di soprassalto ed aveva afferrato in tutta fretta la sua roba dal portapacchi per scendere, quel libretto, per fortuna leggero, le era piovuto sulla testa. Non aveva avuto il tempo di ridarlo al suo padrone e le era rimasto fra le mani. Renata amava i libri, li aveva sempre amati e non aveva potuto far a meno di aprire quel piccolo opuscolo. Una frase l’aveva colpita subito, facendole venire il dubbio che forse proprio il destino, aveva fatto arrivare quello scritto fino a lei.

C’è sempre la possibilità di vedere un ‘mondo nuovo’ anche dopo un dolore...

nessuno ha il potere di renderci felici o infelici:siamo noi stessi responsabili della nostra felicità.

Renata era incredula. Non riusciva a pensare altro che alla sua rabbia e al suo dolore. Non riusciva a vedere altro che il volto di lui, un moro dagli occhi azzurri, baciato da quella... quella... QUELLA! Ecco! Come poteva, come osava, l'autore di quei versi dire che la felicità, la sua felicità, o meglio la sua infelicità dipendesse da lei stessa. Che sfacciato! Eppure sembrava che il libro l'avesse scritto dopo un brutto momento. Già. Ma in fondo, anche lui è un uomo e gli uomini sono tutti uguali. O no? Beh, Carlo le era sembrato diverso dagli altri all'inizio... ma non scriveva mica poesie. Anzi, a dire il vero, sul piano romantico era piuttosto scarso. Questo qui invece per un'amore perduto s'era messo a scrivere versi. E anche belli, di quelli che vanno letti pian piano, una parola per volta perché ti fanno venir fuori pensieri che senza loro non avresti mai pensato. E se, dopo tutto, avesse ragione il poeta? Dopo tutto, in fondo in fondo, lo aveva sempre saputo bene com'era il Carlo. Gli aveva fatto la corte perché era un bel pezzo di ragazzo e non era imbranato come tutti gli altri, e poi così aveva avuto la soddisfazione di toglierlo a quella smorfiosa della Clarissa, che si credeva le più bella del reame...
Ma lo aveva amato veramente il Carlo? O ci si era messa insieme per gioco e per sfida? Che illusione l'idea di poter esser quella che se lo tiene sempre per se ! Sfida, Illusione, e adesso?
Mamma mia che male di stomaco e senso di vuoto!

...il vero viaggio
accadde dentro,
a riabbracciar noi stessi.


Ma che dice questo qui? E chi l'avrebbe mai riabbracciata? Il viaggio se lo stava facendo su un treno affollato e puzzolente ecco dove lo stava facendo!
La rabbia di Renata stava lentamente trasformandosi in sconforto, tristezza e confusione. Si trovava ad essere in uno stato d'animo assurdo come quello di una bimba che, rimproverata dai genitori non volesse dar loro ragione a nessun costo. Anche di fronte all'evidenza, anche se capiva di essere dalla parte del torto, non voleva cedere. Era come se il libro, le parole, i versi ed anche gli spazi bianchi tra le righe la stessero amorevolmente rimproverando, mostrandole una verità che non voleva vedere ma che era di fronte a lei. Eppure, forse proprio per questo, sentiva che non poteva smettere di leggere come se il libro avesse preso il controllo di lei e la spingesse ad arrivare in fondo.

Così siamo partiti:
sprovveduti come fanciulli

tanto incoscienti
da esser quasi saggi.


Renata aveva la sensazione di essere in movimento e non erano gli scossoni del treno.
Che confusione nella testa ! Rivedeva se stessa mentre per inseguire il Carlo, rifiutava la corte di tutti gli altri "imbranati".
Ma che aveva inseguito? Che aveva voluto? Che aveva visto?... Ah... il fascino del "Bel Tenebroso!". Nel libro ora Renata vedeva se stessa, sciocca ragazzina che insegue il lupo mannaro e capiva che tutto quello che aveva pensato di Carlo, tutto quello che aveva visto in lui non erano altro che fantasie, sogli, illusioni, allucinazioni. Ora lo vedeva meglio il Carlo, bel ragazzotto viziato vestito bene con soldi non suoi. E ora vedeva meglio anche se stessa e la sua ingenuità.

Nei tuoi occhi trovo dipinte vive
le stagioni dell’anima mia...


Quanto avrebbe voluto che il Carlo le avesse detto una frase così!
Ma quello manco sapeva dove stava di casa l’anima. Era troppo occupato dai suoi vestiti, dalla sua moto, dall’apparire un vincitore di fronte agli amici, tutti come lui, per occuparsi di qualcosa di futile e invisibile come l’anima e la poesia. E chi non conosce né anima né poesia, non può essere capace di amare.

Tra desiderio e aspettativa
il rischio è sottile.

Tra il cuore e la ragione
la vittoria è sempre inutile.

Tra un’amore e l’altro
fingiamo che la felicità
dipenda da chi amiamo.


Inutile! Certo che era inutile e se è inutile la vittoria è inutile anche la battaglia. “Inutile cercarsi un uomo tanto sono tutti così! Sarò felice lo stesso da sola! Meglio Sole che Male Accompagnate! Ecco!” pensò. Ma non ebbe il tempo di crogiolarsi con quel pensiero.
“Bau!” L’abbaiare di un cane la fece trasalire. ”Il posto è mio non vede che è prenotato.“. Di fronte a lei stava una vecchia cicciona occhialuta, con un trucco così pesante che avrebbero potuto intonacarci un muro cadente, una infinità di anelli sulle dita grassoccie, un taillor fuori moda evidentemente allargato, ed assurdi collant rossi, che l’avrebbero resa visibile anche in caso di nebbia, infilati su di un paio di scarpe lise e stanche di dover sopportare tanto peso. Sotto braccio aveva un cagnolino dalla faccia odiosa che sottolineava abbaiando le frasi della padrona. ”Ma certo che non l’ha visto. (bau) Voi ragazze moderne non fate mai attenzione, avete la testa fra le nuvole (bau). La vostra unica aspirazione è diventare veline senza cervello. Scatolette vuote. (bau) Mica volete studiare. Tuttalpiù vi mettete a leggere qualche poesia d’amore per riempirvi la testa. (bau)”
Renata si alzò senza parlare. Inutile mettersi a discutere. Teneva il libro ben stretto fra le mani per essere sicura di non perderlo. Era il suo unico compagno di viaggio e cominciava a volergli bene. “Mi scusi signora.” disse allontanandosi. “Signorina! Prego (bau)!” risposero i due con tono piccato.
La tristezza di Renata si fece ancor più cupa. Così sarebbe diventata! Senza un compagno! Così, una vecchia zitella pazza e inacidita. Così, una persona arida e arrabbiata col mondo. La cosa più triste per Renata era che era sicura che al fondo di tanta rabbia e acidità vi era un antico dolore, una ferita aperta e sanguinate che col passare degli anni s’era incancrenita. Magari in un giorno lontano quella donna era stata come lei.
Con questi pensieri nella testa, Renata stava camminando risalendo il lungo il treno affollato. Avrebbe voluto sedersi ma il treno sembrava stracolmo di gente. Nessuno sembrava badare a lei e al suo dolore. Si sentiva sola anche se era in mezzo ad una folla ed anzi, la folla sottolineava ancor più la sua solitudine.
Entrando nell’ultimo vagone Renata vide se stessa riflessa nello specchio accanto alla cartina con la rete ferroviaria italiana. Che disastro! Tutta sudata, coi capelli mosci e ora che ci guardava era anche ingrassata! Dentro quel vestito aderente le sembrava di essere una salsiccia. E chi avrebbe mai guardato una ragazza simile! In piedi, sballottata dal treno, tornò a guardare il libro:

Ti ho portata con me a vedere l’alba,
gnomi e fate mi chiedono dove sei,

gli rispondo, sei qui nel mio cuore.

Hanno capito, si sono fatti attenti.

La poesia! La poesia le dava conforto! La poesia stava portando Renata indietro nel tempo. Si sentiva come una bambina. Le venivano in mente le fiabe che le raccontava sua madre. Quanto avrebbe voluto tornare piccola! E rifugiarsi nel cuore di sua madre! Sentire quel calore, e quelle carezze! Ora invece cercava di rifugiarsi in quel piccolo libro, come se le pagine e i segni danzanti le avessero costruito un nido.
Era ormai arrivata agli ultimi versi. Si ricordò improvvisamente che il maestro delle elementari, a cui aveva voluto un gran bene, diceva sempre che per apprezzarle le poesie vanno lette a voce alta. "Una poesia è come una musica, ragazzi. È meglio sentire una musica che vedere uno spartito ed è meglio declamare, recitare leggere ad alta voce e far vivere una poesia piuttosto che farla dormire nel silenzio." E così, sicura di non essere ascoltata da nessuno in mezzo alla confusione assordante del treno, tenendo il libro con una mano, Renata lesse:

"A furia d’abbracciarti in sogno / consumerò il firmamento."

“Allora non farmi spegnere la notte: / cadi qui vicino a me, stellina cara.”

Le rispose una voce.

Renata ebbe un sussulto e, anche se non lo ammise mai, divenne rossa in viso. Alzò gli occhi. Di fronte a lei c’era un ragazzo. Le mani, che stringevano lo stesso libro di Renata, non sembravano male. Ma la barbetta, i capelli castani, e il vestito erano una pena ed era pure diventato rosso, lui. Magari però rimettendolo a posto e rivestendolo, forse poteva essere anche passabile.
Anche lui aveva sobbalzato sulla sedia e aveva alzato gli occhi dal libro. La barba incolta, con cui
cercava di darsi un contegno da Uomo, non poteva nascondere il suo rossore. Di fronte a lui, in piedi, vide una ragazza niente male. Di quelle che di solito sono degli altri. La fronte sudata e i capelli grondanti di caldo la facevano apparire come una sirena appena uscita dall’acqua. E le curve, che l’abito aderente sottolineava, lo affascinavano. Con una ragazza così non aveva sicuramente niente da perdere. Tanto, lo sapeva benissimo di non essere bello, quindi trovò il coraggio di parlare per primo:

"Ciao, anche tu appassionata di poesia ?" "Mi piacciono i libri..."
"Scusa, non volevo ma sai stavo proprio leggendo... ma guarda che caso... e mi è venuto spontaneo proseguire."
"Non hai niente da scusarti, hai ragione è proprio un caso...."
"Ma sei in piedi ! Se vuoi tolgo la mia roba, un sacco di altri libri e così ti puoi sedere... Cioè, non so... sempre che non ti disturbi."

Renata pensò che ridotta com’era nessun ragazzo ci avrebbe mai provato. E così accettò.

"Grazie, che libri hai? Studi anche tu?"
"Mi piacerebbe studiare ufficialmente, ma sai, beh, non ce la passiamo benissimo, neanche male se è per questo ma non voglio pesare sui miei e così li aiuto. Abbiamo una piccola casa editrice in perdita e una libreria antiquaria. Praticamente vivo immerso nei libri e allora studio in modo non ufficiale, ma si impara un sacco di roba lo stesso e..."

"Bellissimo!”

“Eh?”

“Quello che fai ! È bellissimo!”

“Ah.”

“Ma scusa non ci siamo presentati. Io mi chiamo Renata e tu ?"

"Se mi prometti che non ti metti a ridere te lo dico..."

"Promesso... ma perché dovrei ridere ?"

"Perché la famiglia di mio nonno era comunista convinta e non sopportava i nomi dei santi, la sorella di mio nonno l'avevano chiamata Dinamite, ma si faceva chiamare Dina. Io mi chiamo come mio nonno, Antares."

Renata sorrise, per la prima volta in tutto quel viaggio,
"Uh... eh. No, non sto ridendo... eh... ma non è anche il nome di una stella?"

"Sì, sei una delle poco che lo sanno, una gigante rossa per la precisione."

"Beh, a dire il vero sei tutto rosso anche tu!"

Antares rise - "Non riesco proprio a darmi un contegno eh? Ho la sensazione che in questo mondo meccanizzati ci vergognamo un po' di leggere poesie. Ma in fondo", proseguì ammiccando e abbassando la voce, "siamo i migliori ! Magari dovremmo organizzarci in una associazione segreta come in Fahrenheit 451 di Bradbury, l'hai letto?"

"Sì ! E uno dei pochi romanzi di fantascienza che sopporto!"
E così continuarono a parlare. Lui era spontaneo perché "Figurati se una ragazza così bella mi guarda!
Ma almeno mi parla, è una delle poche a cui interessano i libri.", lei perché "Sono un totale disastro, figurati se ci prova... (in fondo non è male e non sembra nemmeno stupido.)"
E, a forza di parlare, il treno stava lentamente terminando il suo viaggio, mentre Renata e Antares, anche se ancora non lo sapevano, avevano appena iniziato il loro. Anni dopo ripensandoci dissero che quel libro era stato proprio un puntuale aiuto dal Cielo.

racconto di Giuseppe Levi

Basato sull’opera poetica Ventidue passi d’amore
di Daniele Passerini (2005, A&B Editrice / Bonanno Editore)

lunedì 2 agosto 2010

Haiku di quest'alba

1 : commenti
...l'emozione di ritrovare un'anima, senza confronti.
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