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martedì 8 gennaio 2008

Carl Gustav Jung

Si sopravvive di ciò che si riceve,  
ma si vive di ciò che si dona.
(C.G. Jung)


Un po' con fare da funambolo e senza pretesa di esaustività, proverò a spiegare per linee generali (di più non sarei in grado) il pensiero di Jung, puntellando liberamente i miei ragionamenti con alcune sue frasi e aforismi cercati e trovati in rete. Mi getto in questa piccola impresa perché in Jung, meglio che in qualunque altro autore, convergono i sistemi di credenze nei quali mi riconosco. E siccome amo connettere e associare concetti volando con l'intuito piuttosto che mettendo consequenzialmente un pensiero in fila dietro l'altro, spero che dichiarandomi junghiano ciò che affermo sia compreso più facilmente... da chi comprende Jung almeno, ma ciò assomiglia a un serpente che si morde la coda: che l'uroboro mi sia propizio allora!
“Se una persona non capisce un'altra persona, pensa che quest'ultima sia pazza.”
A chi non è mai capitato di essere preso pazzo da qualcuno? Ammettiamo per esempio che provassi a parlare del rapporto intercorrente tra astrologia e libero arbitrio con persone che scambiano l'astrologia con le risibili previsioni degli oroscopi giornalieri. Sarebbe più facile per esse prendermi per pazzo che capire come gli accadimenti "prevedibili" dall'astrologia siano in primis esperienze interiori e che la forma esteriore che questi potranno assumere è del tutto secondaria! Naturalmente è sempre auspicabile, nel rispetto delle opinioni di ciascuno, che ad un atteggiamento di chiusura (che può essere reciproco) si riesca comunque a sostituire un dialogo poiché:
“L'incontro di due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche: si produce una reazione così che entrambe ne saranno trasformate.”
Comunque proprio chi tende a reagire con avversione ed ostilità a una cosa che non capisce -- magari la stessa psicologia analitica di Jung -- farebbe meglio ad approfondirla:
“Tutto ciò che degli altri ci irrita può portarci alla comprensione di noi stessi.”
Della vastissima opera di Carl Gustav Jung (1875-1961) ho letto solo una piccola parte, ciò nonostante è una punto fermo della mia formazione, proprio nel senso di forma mentis. D'altro canto più conosco Jung e più scopro nelle sue parole il perché di tante mie istintive propensioni. È difficile dire quanto Jung sia figlio del pensiero moderno o quanto proprio il pensiero moderno sia debitore alla sua ricerca. Considerato in un primo tempo il “delfino” di Freud, Jung prese presto le distanze dal padre della psicoanalisi per fondare la cosiddetta psicologia analitica (o analisi junghiana). Si parla spesso della rivoluzione epistemologica della psicoanalisi di Freud, ma la vera rivoluzione fu quella della psicologia analitica di Jung. Mentre la prima è uno strumento essenzialmente terapeutico finalizzato ad affrontare la patologia mentale, la seconda si pone al servizio di chiunque, per favorirne il percorso di individuazione (in parole povere, riconoscere il senso del nostro essere al mondo) e finisce perciò col rivelarsi una vera e propria chiave (o se vogliamo la sistematizzazione di tante antiche chiavi) per la conoscenza dell'anima. Per inciso l'individuazione non può che essere un processo di sintesi degli opposti, sintesi che avviene più facilmente nella sfera delle emozioni -- dove gli opposti possono coesistere -- che in quella delle pensiero:
“L'amore è un concetto estensibile che va dal cielo all'inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l'infinito.”
“Un uomo che non è passato attraverso l'inferno delle sue passioni non le ha superate.”
Freud, col concetto di inconscio, aprì il panorama culturale occidentale all'idea che l'uomo possa agire in base a pulsioni estranee alla sua sfera conscia, restò però legato alla visione positivista e razionale del XIX secolo. In altri termini, spalancò una porta ma non ebbe il coraggio di oltrepassarla, cosa che invece fece il suo allievo, accorgendosi che la psicoanalisi non toccava le cause profonde dell'essere e che la tradizione accademica non offriva risposte alle sue domande. Soffermiamoci un momento sulle principali differenze tra psicoanalisi e psicologia analitica. Per Freud la pulsione sessuale è alla base di tutte le dinamiche psichiche; per Jung è solo una tra tante cause. Per Freud l'inconscio è un contenitore, individuale e vuoto alla nascita, in cui via via si accumulano i contenuti rimossi dalla sfera conscia dell'Io; per Jung tutte le persone attingono a un medesimo inconscio collettivo, e sono dunque interconnesse tra loro e con ogni cosa. La psicologia analitica è un sistema di pensiero coerente per l'interpretazione dell'esperienza psichica umana, ma anche dell'universo che viene sperimentato; è un sistema che abbraccia razionalmente aspetti che i suoi detrattori bollano come irrazionali, non comprendendone i presupposti. L'inconscio collettivo ipotizzato da Jung è infatti il regno degli archetipi, delle forme-pensiero, dei simboli, dove il linguaggio in uso non è quello della mente ma quello dell'anima.
“Io sono semplicemente convinto che qualche parte del Sé o dell'Anima dell'uomo non sia soggetta alle leggi dello spazio e del tempo.”
Tutto ciò che sfugge al mondo dello spazio e del tempo, può essere decifrato per via analogica meglio che per via analitica, tramite il concetto di sincronicità meglio che tramite quello di causa-effetto, in base alla corrispondenza alchemica tra microcosmo e macrocosmo piuttosto che mediante l'osservazione della realtà "a compartimenti stagni" verso cui è involuta la Scienza. Così Jung, senza preclusioni, solo guidato da un'estrema onestà intellettuale, trovò gli strumenti adatti a decifrare il linguaggio dell'anima in quelle sapienze antiche espulse e derise dal mondo accademico, come l'alchimia, l'astrologia, la cabala ecc.
“L'alchimia è, come il folclore, un grandioso affresco proiettivo di processi di pensiero inconsci. A causa di questa fenomenologia mi sono sottoposto allo sforzo di leggere da cima a fondo l'intera letteratura classica dell'alchimia”.
Oppure si rivolse a concezioni appartenenti a culture orientali, come la reincarnazione delle anime, la sincronicità insita nell'I-Ching taoista, la visione Zen della vita ecc. Poche persone hanno gettato ponti tra discipline diverse e colto i limiti e i nodi della cultura occidentale come Jung.
"Poiché l'europeo non conosce il proprio inconscio, non capisce l'Oriente e vi proietta tutto ciò che teme e disprezza in se stesso."
Ciò evoca il giudizio eurocentrico che dette Pasolini della cultura indiana: del tutto sprovvisto di strumenti concettuali e soprattutto spirituali per comprenderla, riuscì ad osservarne solo gli aspetti deteriori e decadenti, non l'essenza. In effetti è facile confondere tra loro accettazione e rassegnazione, saggezza e indolenza, fede e superstizione, consapevolezza e fatalismo. Al pari degli orientali, Jung credeva fermamente che ognuno raccoglie dalla vita esattamente le esperienze necessarie alla propria individuazione.
“Non mi sono accadute che cose inaspettate. Molto avrebbe potuto essere diverso se io fossi stato diverso. Ma tutto è stato come doveva essere; perché tutto è avvenuto in quanto io sono come sono.”
E si noti bene che tale atteggiamento mentale non è solo “esotico” e orientale; è squisitamente “esoterico”, radicato cioè nello stesso pensiero misterico occidentale. Jung non approdò a tali conoscenze per fideismo, ma perché verificò, nella sua esperienza clinica e personale, che riuscivano a spiegare il funzionamento e le ragioni della psiche meglio del cosiddetto pensiero scientifico. Prendiamo l'astrologia per esempio. I suoi detrattori negano che gli astri possano condizionare “magicamente” le azioni delle persone, e hanno ragione: non è questo il principio su cui si basa. Non si tratta di influenza bensì di corrispondenza. Ogni parte dell'universo, vivente o inanimata che sia, è interconnessa e l'uomo agisce all'interno di cicli cosmici che non ne negano il libero arbitrio, ma pongono dei semplici limiti, né più ne meno di quelli a cui è sottoposto chi governa una barca: dovrà tenere conto dello stato del vascello, delle provviste a bordo, delle correnti, delle maree, dei venti e delle condizioni atmosferiche in generale, poi compatibilmente con tutto ciò potrà andare dove vuole. L'astrologia si basa sul principio di sincronicità tra realtà psichica e realtà fisica, tra archetipi (segni e divinità) e corpi celesti (stelle fisse e pianeti). Oltre l'apparenza della materia, le leggi che governano i corpi celesti e quelle che governano i moti delle nostre vite sono analoghe. La realtà che sperimentiamo è costruita dal nostro pensiero quanto il nostro pensiero è costruito dalla realtà sperimentata: si tratta di due facce della medesima medaglia.
“La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell'universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell'anima.” “Nel tuo petto sono le stelle del tuo destino.”
Come ho già detto, le radici del pensiero di Jung appaiono tout court irrazionali a quanti collocano il baricentro delle loro sicurezze nella funzione razionale esercitata dalla mente, confondendo la propria coscienza con il proprio pensiero. E qui m'avventuro ulteriormente dentro un terreno in cui è facile essere frainteso, sperò perciò che mi verrà perdonato il tentativo di semplificare in poche parole argomenti su cui si potrebbe discutere in eterno. Il pensiero è una sorta di “interfaccia” con cui accediamo alla coscienza ma non è la coscienza stessa; è uno strumento usato dal soggetto, non il soggetto. Noi siamo infinitamente più del nostro pensiero. E la nostra coscienza è solo la punta d'iceberg della nostra anima. Nel concetto di inconscio di Jung entra prepotentemente l'anima, la spiritualità, il contatto col divino.
“La sofferenza è dovuta ad un ristagno spirituale, ad una sterilità psichica. Fede, speranza, amore e conoscenza è ciò di cui ha bisogno il paziente per vivere. Nessuno guarisce veramente se non riesce a raggiungere un atteggiamento religioso.”
Se lo scopo della vita fosse semplicemente essere felice, la maggior parte delle nostre esistenze risulterebbero prive di senso. Noi siamo qui per fare esperienza attraverso la vita e portare nel mondo materiale la luce della nostra anima.
“L'uomo ha bisogno di difficoltà: sono necessarie alla salute.”
"A quanto possiamo discernere, l'unico scopo dell'esistenza umana è di accendere una luce nell'oscurità del mero essere".
Sono consapevole che questo lungo discorso sarà risultato comprensibile soprattutto a chi già ha avuto modo di confrontarsi con la letteratura junghiana (di Jung stesso o di chi ne ha seguito il solco, Hillman in primis), ma spero ugualmente di essere riuscito ad incuriosire non dico qualche scettico, ma almeno qualche “mente aperta” che ancora non conosce, o conosce solo superficialmente, l'opera di questo grande uomo. Non sarebbe normale, anzi sarebbe ingiusto, e segno di una minore ricchezza intellettuale per tutti, se del mondo non coesistessero differenti visioni:
“La scarpa che va bene a una persona va stretta ad un'altra: non c'è una ricetta di vita che vada bene per tutti.”

6 : commenti:

danDapit ha detto...

ehm...
qui ritorno!
e per fortuna che la mia roba l'è lunga!!
Ritorno e leggo... caspita è di gennaio!
bacioooooooooooooooooooooooo!

Daniele Passerini ha detto...

Eddai, è solo che tu tendi alla narrativa e io alla saggistica! :)

Vanesio ha detto...

>daniele
molto, molto bello. Hai saputo dipingere un quadretto allo stesso tempo impressionistico e preciso, fluido e profondo.
Complimenti

Daniele Passerini ha detto...

@Vanesio
Grazie, grazie anche perché è scritto molto d'istinto, più col cuore e la pancia che con la testa :)

princeloisa ha detto...

Grazie di questa condivisione e di questa riflessione. Sto approfondendo Jung e il suo articolo mi ha dato ottimi spunti di analisi. Cordialmente. Annalisa

Daniele Passerini ha detto...

@princeloisa
Grazie a te Annalisa.

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